I due pulpiti

Ultima commessa fiorentina furono i due pulpiti bronzei per la chiesa di San Lorenzo, opera realizzata con la partecipazione di aiuti (Bartolomeo Bellano e Bertoldo di Giovanni), ma da lui progettata in tutte le sue parti. In quest’opera si accentua la carica religiosa che spinge le figure verso un’estrema drammaticità, realizzata attraverso la tecnica del non-finito, in cui alcune parti delle figure sono appena sbozzate. Non è dato sapere in quanta misura ciò sia opera consapevole di Donatello, ma è un dato di fatto anche in altre opere attribuite al maestro (come il Compianto di Londra) e si adatta perfettamente alle emozioni crude e all’espressività delle scene dell’ultima fase dell’artista. Sembra spesso, infatti, di essere di fronte a uno schizzo, a una rappresentazione di getto.

Lo spazio è trattato con una libertà compositiva spregiudicata: le figure scompaiono dietro i bordi oppure li scavalcano, invadono la cornice sia superiore che inferiore, camminano tra gli elementi di separazione che scandiscono le scene, venendo proiettate verso lo spettatore con notevole illusionismo.

Giuditta e Oloferne

Del 1453-1457 circa è il gruppo con Giuditta e Oloferne. Il gruppo bronzeo rappresenta Giuditta velata, che dopo aver fatto ubriacare Oloferne, si appresta a decapitarlo; nel basamento vi sono tre bassorilievi con putti vendemmianti e scene di ebbrezza. Forse il gruppo statuario era impiegato come fonte da vino: infatti agli angoli del cuscino si trovano quattro fori. La statua, iniziata per la Cattedrale di Siena, venne posta nel giardino del palazzo Medici in via Larga, infine sistemata a palazzo Vecchio, dopo il sacco del palazzo in seguito alla seconda cacciata dei Medici. Forse venne realizzato su commissione di Piero de’ Medici detto il Gottoso, in memoria di Cosimo il Vecchio. L’opera è firmata OPUS DONATELLI FLO[RENTINI] sul cuscino, ruotato rispetto al basamento in modo che i loro angoli non coincidono, creando un effetto di movimento. La struttura dell’opera è piramidale, con al vertice il volto della ieratica Giuditta e la lama della spada retta dal braccio destro dell’eroina piegato a novanta gradi, altro punto focale è la testa di Oloferne in cui convergono le diagonali del gruppo. L’opera è attraversata da diversi valori simbolici: come simbolo religioso (la continenza che abbatte la lussuria), come celebrazione della potenza dei Medici e infine come emblema comunale (la repubblica che abbatte i tiranni).

La Maddalena

Tra il 1453 e il 1455 realizzò la Maddalena penitente, opera lignea del Museo dell’Opera del Duomo, che esemplifica perfettamente la scarnificazione delle forme dell’ultimo periodo di Donatello, verso un superamento espressionistico del classicismo di cui Donatello era stato il principale rappresentante in gioventù. In questa opera la bellezza fisica è negata, privilegiando i valori drammatici e patetici; il corpo scheletrico è reso informe dalla massa di capelli; traspare dal volto inciso la fatica, il dolore, l’animo stanco. Soprattutto in età avanzata, egli lasciò ogni modello precostituito per rappresentare i sentimenti più profondi dell’animo umano.

Il monumento equestre al Gattamelata

Risale probabilmente al 1446 la commissione da parte degli eredi del capitano di ventura Erasmo da Narni, detto il Gattamelata (morto nel 1443), per realizzare il monumento equestre del condottiero nella piazza antistante la basilica del Santo. L’opera in bronzo venne completata nel 1453. Prima di essere iniziata necessitò di un beneplacito concesso dal Senato veneto, poiché venne concepita come un cenotafio, cioè un monumento funebre, non contenente le spoglie del condottiero, volto a celebrare la fama del morto. Non si hanno precedenti per questi tipi di monumenti: le statue equestri del Trecento, nessuna in bronzo, sormontavano di solito le tombe; si hanno precedenti in pittura, tra questi il Guidoriccio da Fogliano di Simone Martini e il Giovanni Acuto di Paolo Uccello, ma Donatello probabilmente più che a questi si ispirò ai modelli classici: la statua equestre di Marco Aurelio a Roma, il Regisole, da cui prese ispirazione per la statica, e i Cavalli di San Marco, da cui riprese il modo del cavallo che avanza al passo col muso rivolto verso il basso.

Nell’opera, posta su un alto basamento, la figura dell’uomo è idealizzata, infatti non è un ritratto dal vero dell’uomo vecchio e malato prima della morte, ma una ricostruzione ideale, ispirata alla ritrattistica romana, ma con una precisa individuazione fisionomica, sicuramente non casuale. Il condottiero, con le gambe tese sulle staffe, fissa un punto lontano e tiene in mano il bastone del comando in posizione obliqua che con la spada nel fodero, sempre in posizione obliqua, fanno da contrappunto alle linee orizzontali del cavallo e alla verticale del condottiero accentuandone il movimento in avanti. Il monumento fece da prototipo per tutti i successivi monumenti equestri eretti in Italia, poi in Europa occidentale e in tutto il mondo, sino al Novecento.

L’altare del Santo

Forse grazie al riscontro positivo del Crocifisso, verso il 1446 ricevette una commissione ancora più imponente e prestigiosa, la costruzione dell’intero altare della basilica del Santo, opera composta da quasi venti rilievi e sette statue bronzee a tutto tondo, al quale lavorò fino alla partenza dalla città. Dell’importantissimo complesso è andata persa la struttura architettonica originaria, smantellata nel 1579, e conoscendo l’estrema attenzione con cui Donatello definiva i rapporti tra le figure, lo spazio e il punto di vista dell’osservatore, è chiaro che si tratta di una perdita notevole.

Le statue a tutto tondo sono la Madonna col Bambino, i santi Francesco, Antonio, Giustina, Daniele, Ludovico e Prosdocimo. A queste si aggiungono i quattro rilievi con Episodi della vita di sant’Antonio (aiuti Bartolomeo Bellano e il Riccio) e alcuni rilievi minori, quali le formelle dei quattro simboli degli Evangelisti e i dodici putti.

L’altare, scompaginato nel 1591 per la risistemazione del presbiterio, è stato arbitrariamente ricomposto da Camillo Boito nel 1895; l’assetto originario doveva apparire come una Sacra Conversazione in cui la Vergine col Bambino e i sei santi erano collocati su un baldacchino poco profondo, posto a sua volta su un basamento ornato sulla fronte e sul retro con rilevi fra cui i quattro con le scene della vita di sant’Antonio. La Madonna col Bambino, fulcro della scena, è colta nel momento in cui sta per alzarsi e mostrare il Bambino ai fedeli. Le altre statue a tutto tondo sono improntate a una statica solennità, con un’economia di gesti ed espressioni che evita tensioni espressive troppo forti.

I rilievi invece sono più articolati e si va dalla serena postura dei Putti, ai gesti moderati del Cristo morto, fino alla disperata reazione delle donne nella Deposizione di Cristo. Quattro grandi pannelli illustrano i Miracoli di Sant’Antonio e sono composti in scene affollate, dove l’evento miracoloso è mescolato alla vita quotidiana. Al centro, di solito, è collocato l’episodio miracoloso, mentre sullo sfondo si aprono maestosi fondali di architetture straordinariamente profonde, nonostante il bassissimo rilievo stiacciato. Numerosi temi sono desunti da monumenti antichi, ma quello che più colpisce è la folla, che per la prima volta diventa parte integrante della rappresentazione. Il Miracolo dell’asina è tripartito da archi in scorcio, non proporzionati con le dimensioni dei gruppi delle figure, che amplificano la solennità del momento. Il Miracolo del figlio pentito è ambientato in una sorta di circo, con le linee oblique delle scalinate che direzionano lo sguardo dello spettatore verso il centro. Il Miracolo del cuore dell’avaro vanta una serrata narrazione che mostra in contemporanea gli eventi chiave della storia facendo compiere all’occhio dell’osservatore un moto circolare guidato dalle braccia delle figure. Nel Miracolo del neonato che parla, infine, alcune figure in primissimo piano, poste davanti ai pilastri, sono di dimensioni maggiori poiché proiettate illusionisticamente verso lo spettatore.

Nella Deposizione in pietra, forse per il lato posteriore dell’altare, Donatello rielaborò il modello antico della morte di Meleagro; lo spazio viene annullato e della composizione rimangono solo il sarcofago e uno schermo unitario di figure dolenti, sconvolte nei lineamenti grazie alla mimica facciale e alla gestualità esasperate, con un dinamismo accentuato dai contrasti delle linee che generano soprattutto angoli acuti.

Il Crocifisso bronzeo

La prima opera sicuramente documentata di Donatello a Padova è il Crocifisso della basilica del Santo, una monumentale opera bronzea che oggi fa parte dell’altare del Santo nella basilica di Sant’Antonio da Padova, ma che all’epoca doveva essere nata come opera indipendente. Nel 1444 fu acquistata la cera per il modello e nel 1449 venne saldato l’ultimo pagamento relativo all’opera. La figura del Cristo è modellata con grande precisione nella resa anatomica, nelle proporzioni e nell’intensità espressiva, acutizzata da un taglio secco e asciutto della muscolatura dell’addome. La testa è un capolavoro per la resa nei minimi dettagli, con i peli della barba e i capelli minuziosamente modellati e per la straziante ma composta emotività della sofferenza nel momento vicino alla dipartita terrena.

Nel frattempo Donatello lavorò anche alla recinzione del coro.

Altre opere

Varie opere sono collocate nel periodo immediatamente anteriore alla partenza per Padova. Tra queste il San Giovanni Battista per la chiesa di Santa Maria Gloriosa dei Frari a Venezia è l’unica datata con relativa certezza per il rinvenimento della data del 1438 durante il restauro, ma il suo stile è molto inconsueto per questo periodo, con una fortissima espressività che era stata collegata alle opere della vecchiaia come la Maddalena penitente.

A questo periodo vengono riferiti il busto-ritratto di Niccolò da Uzzano in terracotta (Bargello) e la Madonna col Bambino e la Madonna Piot, due opere in terracotta al Louvre.

Capolavori in bronzo

Del 1440 circa è il David bronzeo del Bargello. Questa opera fu forse realizzata per il cortile di palazzo Medici su commissione di Cosimo de’ Medici (tornato a Firenze nel 1434), e intendeva rappresentare sia l’eroe biblico simbolo delle virtù civiche, sia il dio Mercurio che contempla la testa recisa di Argo. Donatello qui diede un’interpretazione intellettualistica e raffinata della figura umana, il fregio con putti dell’elmo di Golia deriva forse da un cammeo delle raccolte medicee. La statua del David fu progettata per poter essere vista da più punti ed è stato il primo corpo nudo raffigurato a tutto tondo e senza essere subordinato a un elemento architettonico dopo l’età classica.

Sempre di quegli stessi anni e dello stesso clima culturale è la statuetta con l’Amore-Attys, ora conservata al Bargello, dove sono fusi numerosi attributi non ancora del tutto chiarificati. L’opera, nata probabilmente per un mecenate privato colto e raffinato, ha un carattere vitale e sfrenatamente gioioso, intriso di cultura pagana.

Forse risale a questo periodo anche il Busto di giovane con cammeo ora al Bargello.

In questo periodo Donatello manifestò un preferenza verso il bronzo che divenne sempre più spiccata in seguito, soprattutto nel periodo padovano. Fu anzi forse proprio l’allettante possibilità di lavorare con questo materiale stimolante e costoso che spinse lo scultore a lasciare Firenze.