L’altare del Santo

Forse grazie al riscontro positivo del Crocifisso, verso il 1446 ricevette una commissione ancora più imponente e prestigiosa, la costruzione dell’intero altare della basilica del Santo, opera composta da quasi venti rilievi e sette statue bronzee a tutto tondo, al quale lavorò fino alla partenza dalla città. Dell’importantissimo complesso è andata persa la struttura architettonica originaria, smantellata nel 1579, e conoscendo l’estrema attenzione con cui Donatello definiva i rapporti tra le figure, lo spazio e il punto di vista dell’osservatore, è chiaro che si tratta di una perdita notevole.

Le statue a tutto tondo sono la Madonna col Bambino, i santi Francesco, Antonio, Giustina, Daniele, Ludovico e Prosdocimo. A queste si aggiungono i quattro rilievi con Episodi della vita di sant’Antonio (aiuti Bartolomeo Bellano e il Riccio) e alcuni rilievi minori, quali le formelle dei quattro simboli degli Evangelisti e i dodici putti.

L’altare, scompaginato nel 1591 per la risistemazione del presbiterio, è stato arbitrariamente ricomposto da Camillo Boito nel 1895; l’assetto originario doveva apparire come una Sacra Conversazione in cui la Vergine col Bambino e i sei santi erano collocati su un baldacchino poco profondo, posto a sua volta su un basamento ornato sulla fronte e sul retro con rilevi fra cui i quattro con le scene della vita di sant’Antonio. La Madonna col Bambino, fulcro della scena, è colta nel momento in cui sta per alzarsi e mostrare il Bambino ai fedeli. Le altre statue a tutto tondo sono improntate a una statica solennità, con un’economia di gesti ed espressioni che evita tensioni espressive troppo forti.

I rilievi invece sono più articolati e si va dalla serena postura dei Putti, ai gesti moderati del Cristo morto, fino alla disperata reazione delle donne nella Deposizione di Cristo. Quattro grandi pannelli illustrano i Miracoli di Sant’Antonio e sono composti in scene affollate, dove l’evento miracoloso è mescolato alla vita quotidiana. Al centro, di solito, è collocato l’episodio miracoloso, mentre sullo sfondo si aprono maestosi fondali di architetture straordinariamente profonde, nonostante il bassissimo rilievo stiacciato. Numerosi temi sono desunti da monumenti antichi, ma quello che più colpisce è la folla, che per la prima volta diventa parte integrante della rappresentazione. Il Miracolo dell’asina è tripartito da archi in scorcio, non proporzionati con le dimensioni dei gruppi delle figure, che amplificano la solennità del momento. Il Miracolo del figlio pentito è ambientato in una sorta di circo, con le linee oblique delle scalinate che direzionano lo sguardo dello spettatore verso il centro. Il Miracolo del cuore dell’avaro vanta una serrata narrazione che mostra in contemporanea gli eventi chiave della storia facendo compiere all’occhio dell’osservatore un moto circolare guidato dalle braccia delle figure. Nel Miracolo del neonato che parla, infine, alcune figure in primissimo piano, poste davanti ai pilastri, sono di dimensioni maggiori poiché proiettate illusionisticamente verso lo spettatore.

Nella Deposizione in pietra, forse per il lato posteriore dell’altare, Donatello rielaborò il modello antico della morte di Meleagro; lo spazio viene annullato e della composizione rimangono solo il sarcofago e uno schermo unitario di figure dolenti, sconvolte nei lineamenti grazie alla mimica facciale e alla gestualità esasperate, con un dinamismo accentuato dai contrasti delle linee che generano soprattutto angoli acuti.

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