Pertarca ed il suo tempo

Al tempo che rinnova i miei sospiri per la dolce memoria di quel giorno che fu principio a sì lunghi martiri, già il sole al Toro l’uno e l’altro corno scaldava, e la fanciulla di Titone correa gelata al suo usato soggiorno.

Amor, gli sdegni, e ’l pianto, e la stagione ricondotto m’aveano al chiuso loco ov’ogni fascio il cor lasso ripone.
Ivi fra l’erbe, già del pianger fioco, vinto dal sonno, vidi una gran luce, e dentro, assai dolor con breve gioco, vidi un vittorïoso e sommo duce pur com’un di color che ’n Campidoglio triunfal carro a gran gloria conduce.

I’ che gioir di tal vista non soglio per lo secol noioso in ch’i’ mi trovo, voto d’ogni valor, pien d’ogni orgoglio, l’abito in vista sì leggiadro e novo mirai, alzando gli occhi gravi e stanchi, ch’altro diletto che ’mparar non provo: quattro destrier vie più che neve bianchi; sovr’un carro di foco un garzon crudo con arco in man e con saette a’ fianchi; nulla temea, però non maglia o scudo, ma sugli omeri avea sol due grand’ali di color mille, tutto l’altro ignudo; d’intorno innumerabili mortali, parte presi in battaglia e parte occisi,
parte feriti di pungenti strali.

 

 

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