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Primo viaggio a Roma

Fino al 1300 c’è un vuoto di alcuni anni nella produzione di Giotto. Ferdinando Leopoldo Del Migliore menziona nel XVII secolo che Giotto lavorò a Roma ai tempi di Papa Bonifacio VIII, pontefice dal 1295 al 1303. Il liber benefactorum della Basilica di San Pietro in Vaticano, una fonte pressoché contemporanea del tempo, attesta che Giotto compose il mosaico della Navicella, opera più volte spostata e restaurata ed oggi collocata nel portico della Basilica. Anche se la fonte non cita la data, la somiglianza di stile del mosaico della Navicella con i due tondi con busti di angeli conservati oggi nelle Grotte Vaticane e nella Boville Ernica in San Pietro Ispano a Roma permette di datare l’opera a fine duecento, sia perché i due tondi hanno le caratteristiche della scuola romana di fine duecento, sia perché la fonte del Torrigio (1618) colloca i tondi al 1298. Quindi può darsi che Giotto abbia lavorato a Roma fino al 1300 circa, anno del Giubileo, esperienza della quale non rimangono altre tracce significative e, per questo, non è possibile ancora giudicare la sua influenza sui pittori romani, o al contrario, quanto il suo stile venne influenzato dalla scuola romana.


Rientro a Firenze

Da documenti catastali del 1301 e 1304 si conoscono le sue proprietà in Firenze, che erano cospicue e per questo si ipotizza che, all’incirca verso i trent’anni, Giotto fosse già a capo di una bottega capace di ovviare alle più prestigiose commissioni del tempo. In questo periodo dipinse il Polittico di Badia (Galleria degli Uffizi) e, in virtù della fama diffusa in tutta l’Italia, venne chiamato a lavorare a Rimini e Padova.


Rimini

L’attività riminese del maestro fiorentino dovrebbe attestarsi intorno al 1299; ciò è suggerito da una miniatura di Neri da Rimini conservata alla Fondazione Cini di Venezia (inv. 2030), firmata e datata 1300, che, nella figura del Cristo Benedicente, mostra una evidentissima similitudine col Redentore raffigurato nella Cimasa originale della croce (ritrovata da Federico Zeri nel 1957 nella collezione Jeckyll di Londra – non si hanno notizie dei terminali laterali raffiguranti i dolenti). Essa viene ricordata in fonti scritte contemporanee ed è testimoniata dalla precoce fioritura di una scuola riminese, chiaramente ispirata all’esempio giottesco. A Rimini, come ad Assisi, lavorò in un contesto francescano, nella chiesa già di san Francesco, oggi nota come Tempio Malatestiano, dove dipinse un ciclo di affreschi perduto, mentre resta ancora nell’abside la Croce. L’autografia della Croce è attualmente condivisa da tutti gli studiosi. In miglior stato di conservazione rispetto al precedente crocifisso di Santa Maria Novella, è già orientato verso le interpretazioni più mature di Giotto, ma ancora vicino ad opere come il Polittico della Badia, oggi agli Uffizi e ritrovato nel convento di Santa Croce a Firenze. Il soggiorno di Rimini è importante, soprattutto, per l’influenza esercitata sulla locale scuola pittorica e miniatoria detta appunto scuola riminese, che ebbe tra i maggiori esponenti Giovanni, Giuliano e Pietro da Rimini.