I primi studi e Brunetto Latini

Della formazione di Dante non si conosce molto. Con ogni probabilità seguì l’iter educativo proprio dell’epoca, che si basava sulla formazione presso un grammatico (conosciuto anche con il nome di doctor puerorum, probabilmente) con il quale apprendere prima i rudimenti linguistici, per poi approdare allo studio delle arti liberali, pilastro dell’educazione medioevale: teologia, filosofia, fisica, astronomia da un lato (quadrivio); dialettica, grammatica e retorica dall’altro (trivio). Come si può dedurre da convivio II, 12, 2-4, l’importanza del latino quale veicolo del sapere era fondamentale per la formazione dello studente, in quanto la ratio studiorum si basava essenzialmente sulla lettura di Cicerone e di Virgilio da un lato e del latino medievale dall’altro (Arrigo da Settimello, in particolare).

L’educazione ufficiale era poi accompagnata dai contatti “informali” con gli stimoli culturali provenienti ora da altolocati ambienti cittadini, ora dal contatto diretto con viaggiatori e mercanti stranieri che importavano, in Toscana, le novità filosofiche e letterarie dei rispettivi Paesi d’origine. Dante ebbe la fortuna di incontrare, negli anni ottanta, il politico ed erudito fiorentino Ser Brunetto Latini, reduce da un lungo soggiorno in Francia sia come ambasciatore della Repubblica, sia come esiliato politico. L’effettiva influenza di Ser Brunetto sul giovane Dante è stata oggetto di studio da parte di Francesco Mazzoni prima, e di Giorgio Inglese poi. Entrambi i filologi, nei loro studi, cercarono di inquadrare l’eredità dell’autore del Tresor sulla formazione intellettuale del giovane concittadino. Dante, da parte sua, ricordò commosso la figura del Latini nella Commedia, rimarcandone l’umanità e l’affetto ricevuto:


Lo studio della filosofia

« E da questo imaginare cominciai ad andare là dov’ella [la Donna Gentile] si dimostrava veracemente, cioè ne le scuole de li religiosi e a le disputazioni de li filosofanti. Sì che in picciol tempo, forse di trenta mesi, cominciai tanto a sentire de la sua dolcezza, che lo suo amore cacciava e distruggeva ogni altro pensiero. »
(Convivio, 12 7)

Dante, all’indomani della morte dell’amata Beatrice (in un periodo oscillante tra il 1291 e il 1294/1295), cominciò a raffinare la propria cultura filosofica frequentando le scuole organizzate dai domenicani di Santa Maria Novella e dai francescani di Santa Croce; se gli ultimi erano ereditari del pensiero di Bonaventura da Bagnoregio, i primi erano ereditari della lezione aristotelico-tomista di Tommaso d’Aquino, permettendo a Dante di approfondire (forse grazie all’ascolto diretto del celebre studioso Fra’ Remigio de’ Girolami) il Filosofo per eccellenza della cultura medievale. Inoltre, la lettura dei commenti di intellettuali che si opponevano all’interpretazione tomista (quali l’arabo Averroè), permise a Dante di adottare una sensibilità «polifonica dell’aristotelismo».


Il matrimonio con Gemma Donati

Quando Dante aveva dodici anni, nel 1277, fu concordato il suo matrimonio con Gemma, figlia di Messer Manetto Donati, che successivamente sposò all’età di vent’anni nel 1285. Contrarre matrimoni in età così precoce era abbastanza comune a quell’epoca; lo si faceva con una cerimonia importante, che richiedeva atti formali sottoscritti davanti a un notaio. La famiglia a cui Gemma apparteneva – i Donati – era una delle più importanti nella Firenze tardo-medievale e in seguito divenne il punto di riferimento per lo schieramento politico opposto a quello del poeta, vale a dire i guelfi neri.

Il matrimonio tra i due non dovette essere molto felice, secondo la tradizione raccolta dal Boccaccio e fatta propria poi nell’Ottocento da Vittorio Imbriani. Dante non scrisse infatti un solo verso alla moglie, mentre di costei non ci sono pervenute notizie sulla effettiva presenza al fianco del marito durante l’esilio. Comunque sia, l’unione generò tre figli: Jacopo, Pietro, Antonia e un possibile quarto, Giovanni. Dei tre certi, Pietro fu giudice a Verona e l’unico che continuò la stirpe degli Alighieri, in quanto Jacopo scelse di seguire la carriera ecclesiastica, mentre Antonia divenne monaca con il nome di Sorella Beatrice, sembra nel convento delle Olivetane a Ravenna.