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Apprendistato

Il suo vero e proprio apprendistato si svolse nella bottega di Filippo Lippi dal 1464 al 1467, con cui lavorò a Prato negli ultimi affreschi delle Storie di santo Stefano e san Giovanni Battista nella cappella maggiore del Duomo assieme a numerosi altri allievi.

Risalgono a questo periodo tutta una serie di Madonne che rivelano la diretta influenza del maestro sul giovane allievo, a volte derivate fedelmente dalla Lippina agli Uffizi (1465). La primissima opera attribuita a Botticelli è la Madonna col Bambino e un angelo (1465 circa) dell’Ospedale degli Innocenti, in cui le somiglianze con la contemporanea tavola del Lippi sono davvero molto forti, anzi sembra una copia o un omaggio; la stessa cosa vale per la Madonna col Bambino e due angeli (1465 circa) oggi a Washington, con la sola variante dell’angelo aggiunto alle spalle del Bambino, e la Madonna col Bambino e un angelo del Museo Fesch di Ajaccio.

Risultarono però determinanti nel progressivo processo di maturazione del suo linguaggio pittorico anche le influenze ricevute da Antonio del Pollaiuolo e Andrea del Verrocchio, del quale potrebbe aver frequentato la bottega dopo la partenza di Filippo Lippi per Spoleto.


L’avvio della carriera in proprio

Nel 1469 Botticelli lavorava già da solo, come dimostra la portata al Catasto del 1469 in cui è segnalato come operante in casa propria. Il 9 ottobre 1469 Filippo Lippi morì a Spoleto e nel 1470 Sandro mise bottega per conto proprio.

Dal 18 giugno al 18 agosto di quell’anno lavorò alla sua prima commissione pubblica, di notevole prestigio e risonanza. Si tratta di una spalliera allegorica, realizzata per il Tribunale della Mercanzia di Firenze raffigurante la Fortezza. Il pannello doveva inserirsi all’interno di un ciclo ordinato a Piero Pollaiolo che infatti eseguì sei delle sette Virtù. Botticelli accolse lo schema presentato dal Pollaiolo nelle sue linee generali, ma impostò l’immagine in modo del tutto diverso; al posto dell’austero scranno marmoreo usato da Piero, dipinse un trono riccamente decorato e dalle forme fantastiche che costituiscono un preciso richiamo alle qualità morali inerenti all’esercizio della magistratura, in pratica un’allusione simbolica al “tesoro” che accompagnava il possesso di questa virtù. L’architettura viva e reale si unisce alla figura di donna che vi è seduta sopra, solida, plastica, ma soprattutto di estrema bellezza; fu proprio la continua ricerca della bellezza assoluta, al di là del tempo e dello spazio, che portò poi Botticelli a staccarsi progressivamente dai modelli iniziali e a elaborare uno stile sostanzialmente diverso da quello dei suoi contemporanei, che lo rese un caso praticamente unico nel panorama artistico fiorentino dell’epoca.

Botticelli scelse di esaltare la grazia, cioè l’eleganza intellettuale e la squisita rappresentazione dei sentimenti e fu per questo che le sue opere più celebri vennero caratterizzate da un marcato linearismo e da un intenso lirismo, ma soprattutto l’ideale equilibrio tra il naturalismo e l’artificiosità delle forme.

Prima di produrre quegli autentici capolavori della storia delle arti egli ebbe però modo di ampliare la sua esperienza con altri dipinti, che costituiscono il necessario passaggio intermedio tra le opere degli esordi e quelle della maturità.


L’influeza neoplatonica

I neoplatonici offrirono la più convincente rivalutazione della cultura antica data fino a quel momento, riuscendo a colmare la frattura che si era venuta a creare tra i primi sostenitori del movimento umanista e la religione cristiana, che condannava l’antichità in quanto pagana; essi non solo riproposero con forza le “virtù degli antichi come modello etico” della vita civile, ma arrivarono a conciliare gli ideali cristiani con quelli della cultura classica, ispirandosi a Platone ed alle varie correnti di misticismo tardo-pagano che attestavano la profonda religiosità delle comunità pre-cristiane.

L’influenza di queste teorie sulle arti figurative fu profonda; i temi della bellezza e dell’amore divennero centrali nel sistema neoplatonico perché l’uomo spinto dall’amore poteva elevarsi dal regno inferiore della materia a quello superiore dello spirito. In questo modo la mitologia fu pienamente riabilitata e le venne assegnata la stessa dignità dei temi di soggetto sacro e ciò spiega anche il motivo per cui le decorazioni di carattere profano ebbero una così larga diffusione.

Venere, la dea più peccaminosa dell’Olimpo pagano venne totalmente reinterpretata dai filosofi neoplatonici e diventò uno dei soggetti raffigurati più frequentemente dagli artisti secondo una duplice tipologia: la Venere celeste, simbolo dell’amore spirituale che spingeva l’uomo verso l’ascesi e la Venere terrena, simbolo dell’istintualità e della passione che lo ricacciavano verso il basso.