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Infanzia fiorentina

Giovanni Boccaccio nacque tra il giugno e il luglio del 1313 da una relazione extraconiugale di Boccaccino di Chellino, mercante fiorentino, con una donna di umilissime condizioni. Non si conosce quale fosse esattamente il suo luogo natio, se Firenze o Certaldo: Vittore Branca sostiene che, quando Boccaccio si firma “Johannes de Certaldo”, ciò indichi che Certaldo sia la patria della famiglia, ma non il luogo fisico di nascita. Il fatto di essere un figlio illegittimo dovette pesare notevolmente sulla psiche del Boccaccio, in quanto nelle opere in volgare costruì una sorta di biografia mitica, idealizzata, facendo credere di essere figlio di una donna membro della famiglia dei Capetingi, e prendendo in tal modo spunto dai viaggi mercantili che il padre compiva a Parigi. Riconosciuto in tenera età dal padre, Giovanni fu accolto, verso il 1320, nella casa paterna sita nel quartiere di San Piero Maggiore. Grazie ai buoni uffici del padre, compì i primi studi presso la scuoletta di Giovanni Mazzuoli da Strada, padre di Zanobi. Durante la giovinezza, Boccaccio imparò quindi i primi rudimenti del latino e delle arti liberali, oltre ad apprendere la Divina Commedia di Dante Alighieri, in quanto il padre si era sposato con la nobildonna Margherita de’ Mardoli, imparentata con la famiglia Portinari.

L’adolescenza napoletana

Boccaccino, però, desiderava che il figlio si avviasse alla professione di mercante, secondo la tradizione di famiglia. Dopo avergli fatto fare un breve tirocinio a Firenze, nel 1327 Boccaccino decide di portare con sé il giovane figlio a Napoli, città dove Boccaccino è un agente di cambio per la famiglia dei Bardi. Boccaccio arriva quindi, quattordicenne, in una realtà totalmente diversa da quella di Firenze: se Firenze era una città comunale fortemente provinciale, Napoli era invece sede di una corte regale e cosmopolita, quella degli Angiò. Il re Roberto d’Angiò (1277-1343) era un re estremamente colto e pio, un appassionato della cultura tanto da avere una notevole biblioteca, gestita dall’erudito Paolo da Perugia.

Il padre Boccaccino vide ben presto, con suo grande disappunto, che quel suo figliolo non si trovava a suo agio negli uffici dei cambiavalute, e di come preferisse dedicarsi agli studi letterari. Pertanto, dopo aver cercato di distoglierlo da questi interessi del tutto estranei alla mercatura, Boccaccino iscrisse il figlio a giurisprudenza all’Università di Napoli. Boccaccio vi seguì per due anni (1330-31) le lezioni del poeta e giurista Cino da Pistoia, ma anziché studiare con lui il diritto canonico, preferì accostarsi alle lezioni poetiche che il pistoiese impartiva al di fuori dell’ambiente accademico. Grazie a Cino, infatti, Boccaccio approfondì la grande tradizione stilnovistica in lingua volgare, dal momento che Cino stesso fu in amichevoli rapporti con l’amato Dante.

Inoltre, Giovanni incominciò a frequentare la corte angioina (dove conobbe, oltre a Paolo da Perugia, anche Andalò del Negro) e ad occuparsi di letteratura: scrive sia in latino, sia in volgare, componendo opere come il Teseida, il Filocolo, il Filostrato e la Caccia di Diana.

Altro elemento inusitato per l’educazione tipica dell’epoca è l’apprendimento di alcune nozioni grammaticali e lessicali del greco da parte del monaco e teologo bizantino Barlaam di Seminara, giunto nell’Italia Meridionale in ambasceria per conto dell’imperatore bizantino. La giovinezza napoletana non si esaurisce, però, soltanto nella frequentazione degli ambienti accademici e di corte: le fiabe e le avventure dei mercanti che Boccaccio sente mentre presta servizio al banco commerciale saranno fondamentali per il grande affresco narrativo che prenderà vita col Decameron.