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La conversione all’umanesimo

Dal 1350 in avanti nasce un rapporto profondo tra Boccaccio e Petrarca, che si concretizzerà negli incontri degli anni successivi, durante i quali avvenne gradualmente, secondo un termine coniato dal filologo spagnolo Francisco Rico, la “conversione” del Boccaccio al nascente umanesimo. Boccaccio, fin dalla sua prima giovinezza a Napoli, era entrato in contatto con ricche biblioteche, tra le quali spiccava sicuramente quella del monastero di Montecassino, ove erano custoditi numerosissimi codici di autori pressoché sconosciuti nel resto dell’Europa occidentale: tra questi, Apuleio, Ovidio, Marziale e Varrone. Fino all’incontro con Petrarca, però, Boccaccio continuò a vedere i classici nell’ottica della salvezza cristiana, deformati rispetto al loro messaggio originario ed estraniati dal contesto in cui furono composti. I vari incontri con il poeta laureato, mantenuti costanti attraverso una fitta corrispondenza epistolare e l’assidua frequentazione degli altri protoumanisti, permisero a Boccaccio di sorpassare la mentalità medievale e di abbracciare il nascente umanesimo.

Nel giro di un quinquennio Boccaccio poté avvicinarsi alla mentalità di colui che diverrà il suo praeceptor, constatando l’indifferenza che questi nutriva per Dante e l’ostentato spirito cosmopolita che spinse il poeta aretino a rifiutare l’invito del Comune di Firenze di assumere il ruolo di docente nel neonato Studium e ad accettare invece, nel 1353, l’invito di Giovanni II Visconti, acerrimo nemico dei fiorentini. Superata la crisi dei rapporti per il voltafaccia di Petrarca, Boccaccio riprese le fila delle relazioni culturali tra lui e il circolo degli amici fiorentini, arrivando alla maturazione della mentalità umanista quando il Certaldese, nel 1355, donò all’amico due preziosissimi codici: uno delle Enarrationes in Psalmos di sant’Agostino, cui seguì poco dopo quello contenente il De Lingua Latina dell’erudito romano Varrone e l’intera Pro Cluentio di Cicerone.


Gli anni dell’impero

Mentre Boccaccio consolidava l’amicizia con Petrarca, il primo cominciò ad essere impiegato per varie ambasciate diplomatiche dalla Signoria, ben conscia delle qualità retoriche del Certaldese. Già tra l’agosto e il settembre del 1350, per esempio, Boccaccio fu inviato a Ravenna per portare a Suor Beatrice, la figlia di Dante, 10 fiorini d’oro a nome dei capitani della compagnia di Orsanmichele, durante la quale avrà probabilmente raccolto informazioni riguardanti l’amato poeta e avrà fatto la conoscenza dell’amico del Petrarca, il retore Donato Albanzani. Nel 1351, la Signoria incaricò sempre Boccaccio di una triplice missione: convincere Petrarca, che nel frattempo si trovava a Padova, a stabilirsi a Firenze per insegnare nel neonato Studium (i colloqui tra i due si svolsero a Marzo); stipulare con Ludovico di Baviera, marchese del Brandeburgo, un’alleanza contro le mire espansionistiche di Giovanni Visconti (dicembre 1351-gennaio 1352); ed infine, dopo essere stato nominato uno dei Camerlenghi della Repubblica, quella di convincere Giovanna I di Napoli a lasciare Prato sotto la giurisdizione fiorentina.


Il periodo fiorentino-certaldese

Il periodo che va dal 1363 all’anno della morte (1375) viene denominato «periodo fiorentino-certaldese»: infatti, l’autore del Decameron comincerà sempre più a risiedere a Certaldo, nonostante i maggiorenti fiorentini avessero deciso di reintegrarlo nei pubblici uffici, inviandolo come in passato in missioni diplomatiche.

A partire dal 1363, infatti, Boccaccio risiedette per più di dieci mesi nella cittadina toscana, dalla quale sempre più raramente si mosse anche a causa della salute declinante (negli ultimi anni fu afflitto dalla gotta, dalla scabbia e dall’idropisia). Gli unici viaggi che avrebbe compiuto sarebbero stati per rivedere il Petrarca, alcune missioni diplomatiche per conto di Firenze, oppure per ritentare la fortuna presso l’amata Napoli. Oltre alla decadenza fisica, si aggiunse anche uno stato di abbattimento psicologico: nel 1362 il monaco certosino (e poi beato) Pietro Petroni rimproverò lui e Petrarca di dedicarsi ai piaceri mondani quali la letteratura, critica che toccò nel profondo l’animo di Boccaccio, tanto che questi pensò addirittura di bruciare i propri libri e rinunziare agli studi, vendendo al Petrarca la biblioteca.